(Riguardo la
presa di Cipro veneziana, nel 1571, da parte dei turchi, di come trattarono i vinti e di come gli odierni musulmani lo fatto attualmente)
Il primo agosto 1571 [...] il plenipotenziario di Lala Mustafà presenta il documento della capitolazione [...]
promettendo e giurando per Dio et sopra la testa del Gran Signore di mantenere quanto nei capitoli si conteneva [...]: passaggio salvo e sicuro dei superstiti [...]; imbarco garantito e indisturbato delle truppe italiane
a tocco di tamburo, con le insegne spiegate, artiglieria, arme et bagaglio, moglie et figli, [...] nessuna molestia agli Italiani che desiderano rimanere a Famagosta [...].
Sono condizioni più che onorevoli, e Mustafà le approva esplicitamente [...]. Il 5 tutto è già sistemato;
Marcantonio Bragadin manda a chiedere a Mustafà quando desideri ricevere le chiavi della città. [... Mustafà] risponde che è sua disposizione, che lo vedrà con piacere
atto il gran valore et previdenza che aveva mostrato, e che sarebbe lietissimo di conoscere, in quell'occasione,
li capitani che nella fortezza hanno mostrato tanta bravura.
[...] L'accoglienza è cordiale [...]. Ma quando il provveditore veneziano gli consegna le chiavi dicendo "Vi do queste chiavi non per mia viltà ma per necessità", muta improvvisamente registro. "Che hai fatto tu delli miei schiavi che havevi nella fortezza? So io che tu gli hai ammazzati" [...]. Il provveditore risponde che non è vero [...] ma è evidente che Mustafà cerca argomenti di litigio, incalza il provveditore di domande, gli chiede dove sono le munizioni, dove sono le vettovaglie, e quando Bragadin gli dice che non c'è più nulla, che di ogni cosa, nella piazzaforte,
si era venuto al fine, imbestialisce. "Ah cane, perché dunque tenermi la città se non havevi con che mantenerla? perché non ti sei reso un meso prima et non farmi perdere tanti huomini?"
I visitatori sono afferrati, legati, il pascià dà di piglio al coltello e mozza un orecchio al Bragadin, gli fa mozzar l'altro da un soldato, ordina l'eccidio di tutti coloro che sono venuti con lui, afferra la testa mozza di
Astorre Baglioni e la mostra alle truppe gridando: "Ecco la testa del gran campione di Famagosta" [...].
Intanto le truppe hanno rotto i cordoni, si sono avventate in città, ammazzano tutti gli Italiani che trovano, violentano le donne dei Ciprioti; la mattina dopo assaltano le navi in attesa di partire per Creta [...]. Davanti alla tenda di Lala Mustafà si ammucchiano le teste, se ne contano trecentocinquanta [...]. Lorenzo Tiepolo e il capitano greco Manoli Spilioti vengono trascinati a pugni e a calci per le vie prima di essere impiccati e squartati; le loro carni vengono date ai cani.
E Bragadin? Bragadin è ancora vivo [...]. Mustafà [...] gli propone di farsi musulmano in cambio della vita. Il Veneziano risponde rinfacciandogli il tradimento della parola data, gli getta in faccia ingiurie sanguinose [...]. E' sofferente, la testa gli si è tutta infettata per le orecchie tagliate; per divertire la truppa, viene fatto passare avanti e indietro di batteria in batteria, carico di grosse gerle di terra e di sassi, i soldati si divertono a farlo inciampare e cadere. Poi,
strassinandolo più morto che vivo, lo attaccano a un'antenna in galea [...]. Dopo un'ora di supplizio (i Turchi gli gridano: "Guarda se vedi la tua armata, guarda il gran Cristo, et se tu vedi il soccorso di Famagosta...") viene calato giù e, nudo, legato a una colonna, viene scorticato alla presenza di Lala Mustafà [...]. La pelle, riempita di paglia e ricucita, viene rivestita delle sue vesti [...]. Quei poveri resti, issati a cavallo di un bue, vengono fatti passeggiare per tutta Famagosta
per dare più terore al sbigotito popolo. La pelle, con le teste di Astorre Baglioni, del generare Martinengo e del castellano Andrea Bragadin, viene poi portata in giro e mostrata dovunque sul litorale asiatico, prima di finire a Costantinopoli, da dove, trafugata, giungerà a Venezia anni dopo.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, pp. 348-351.