Aneddoti e assurdità storiche

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view post Posted on 27/10/2014, 14:33     +1   -1
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Dragaster Excuriam

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Lo stesso Orosio suggerisce una spiegazione alla facilità con cui i barbari si imposero quando afferma che coloro che si lamentavano dei mali presenti [...] erano accecati dallo splendore della civiltà romana ma dimenticavano che tale civiltà aveva per fondamenta l'ingiustizia e la miseria delle popolazioni. [...] San Girolamo, contemporaneo di Orosio, scrisse che i signori romani erano più barbari dei barbari (J. H. Saraiva, Storia del Portogallo, p. 11).

Ecco la biografia di Fernão Mendes il Violento, figlio del capoalfiere di Alfonso Henriques: "Fu lui a uccidere la madre mettendola nella pelle di un'orsa che diede in pasto ai cani. Fu lui a mozzare un dito per avergli creato un problema. Fu lui, in lite con Alfonso I del Portogallo, ad ammazzare una sua sorella che il re aveva maritato a Sancho Nunes: avevano riso di lui davanti al re perché, mentre mangiava, gli era caduta un po' di panna dalla bocca" (J. H. Saraiva, Storia del Portogallo, p. 45).

Il primo dei Pereira che si installò in Portogallo fu Gonçalo Rodrigues. Aveva preso parte a una spedizione contro i mori ma, al momento della divisione del bottino [...], insultò il nobile che faceva le parti: lo chiamò "fantasma", volendo dire con questa parola che lo vedeva sempre nella posizione di vincitore, mai in quella di combattente. Un cavaliere dell'offeso volle affrontarlo, ma Gonçalo Rodrigues, con un colpo di spada, lo tagliò in due dalle spalle alla vita. [...] La generazione seguente è rappresentata da Rodrigo Gonçalves [...]. Un giorno gli giunse notizia che la moglie, al castello di Lanhoso, lo tradiva con un frate del Bouro. Andò al castello, chiuse le porte e "bruciò lei, il frate, gli uomini, le donne, le bestie, i cani, i gatti, le galline, qualsiasi essere vivente, bruciò la camera da letto, i vestiti, i letti e non lasciò cosa mobile". Gli domandarono perché aveva bruciato tante persone invece di uccidere solo gli adulteri. La tresca, spiegò lui, durava da diciassette giorni; gli altri abitanti del castello dovevano avere qualche sospetto ma non gli avevano detto niente (J. H. Saraiva, Storia del Portogallo, pp. 45-46).

Edited by lagunaloire - 27/10/2014, 14:53
 
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CITAZIONE (lagunaloire @ 27/10/2014, 14:33) 
Lo stesso Orosio suggerisce una spiegazione alla facilità con cui i barbari si imposero quando afferma che coloro che si lamentavano dei mali presenti [...] erano accecati dallo splendore della civiltà romana ma dimenticavano che tale civiltà aveva per fondamenta l'ingiustizia e la miseria delle popolazioni. [...] San Girolamo, contemporaneo di Orosio, scrisse che i signori romani erano più barbari dei barbari (J. H. Saraiva, Storia del Portogallo, p. 11).

Sto brano l'ho sentito recentemente. L'hanno detto in televisione?
Sono sicuro che non è un deja vù perché prima di finire di leggere sapevo già come continuava.
 
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Messo come status di faceburp qualche giorno fa, brullino.
 
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Cosa succede quando si cerca di fare luce sui partigiani:

L´omicidio del parroco Caso aperto da 70 anni
Eliminarono don Treccani «come fanno i mafiosi» I partigiani contestano il rigore della ricostruzione
Dopo 70 anni, l´omicidio del parroco di Provezze divide ancora la popolosa comunità della frazione di Provaglio d´Iseo. Don Pietro Treccani fu ucciso all´imbrunire del 5 dicembre 1944. Tre persone si presentono al sacrista col pretesto di parlare col parroco. Il reverendo uscì in strada e venne freddato da una fucilata. La parrocchia ricorda il «triste anniversario, forse dimenticato».
Erano gli ultimi mesi di guerra e regnava la confusione. C´erano ancora i fascisti, ma c´erano anche antifascisti e partigiani. C´erano anche quelli che la parrocchia definisce i cosiddetti «spartigiani», persone che «approfittando della situazione, facevano i propri interessi e le proprie vendette. Perché fu ucciso don Treccani? Non c´è mai stata una risposta. Non ci furono indagini approfondite, né processo. Perché? Forse per paura di vendette o rappresaglie».
La ricostruzione apparsa sul giornale parrocchiale non è però piaciuta alla sezione Anpi di Provaglio, che ha distribuito un volantino con alcune precisazioni. «Era giusto ricordare il proprio parroco don Treccani - è il punto di vista dell´Anpi - ma secondo noi si doveva porre molta più attenzione sui fatti e sul metodo di ricognizione storica».
L´Anpi ritiene «inaccettabile» la tesi espressa dalla parrocchia: «Don Pietro Treccani probabilmente aveva scoperto qualcosa che non doveva sapere» e quindi, come succede con «mafiosi e camorristi anche ai giorni nostri, doveva essere eliminato». A questa parte finale degli scritti parrocchiali l´Anpi replica ricordando che «le formazioni partigiane erano militarmente e politicamente riconosciute dagli Alleati, ed erano di conseguenza legittimate le loro azioni di guerra, dal sabotaggio allo scontro armato». Nonostante questo l´associazione dei partigiani ammette la possibilità «che qualche soggetto opportunista si "arruolasse” tra le fila dei ribelli. Nessuno nega che nella moltitudine, in tutti gli ambienti (si possono trovare molti esempi anche nella stessa chiesa cattolica), ci possano essere delle "pecore nere”». Tra distinguo polemici e ammissioni che aprono alla possibilità di una lettura in chiaroscuro di quella pagina nera della storia provagliese, l´Anpi invita a uno studio approfondito dei fatti, rendendosi disponibile «a un franco e trasparente dibattito».


L'Anpi di quella frazione di minorati mentali non ha perso occasione di rendersi ridicola. Se quella cagna zotica di Elisabetta abitasse ancora lì, sicuramente sarebbe d'accordissimo con gli immacolati partigiani.
 
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Fanciullo Orsù
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"Vorrei vedere se l'avesse sparata Storace" :asd:
 
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(riguardo la crociata del 1204)
Alessio IV cercò popolarità nel distaccarsi ancora di più dai Crociati, anzi, nell'ostentare verso di loro disprezzo ed avversione e nel dilazionare l'adempimento degli impegni che aveva assunto, compreso il saldo delle somme pattuite. A che punto fossero giunti i rapporti, lo si capisce dalla rude narrazione di Roberto di Clary [...]: [il doge Enrico Dandolo] gli disse: "Alessio, che cosa credi di fare? Sta' attento che noi ti abbiamo tratto da grave prigionia: noi ti abbiamo fatto signore e coronato imperatore. Non manterrai le tue promesse?...". "No," disse l'imperatore "non farò più di ciò che ho fatto." "No?" disse il doge "cattivo ragazzo; noi" disse "ti abbiamo cavato dalla merda e nella merda ti ributteremo," disse "e io ti sfido, e sappi che ti procurerò tanto male quanto potrò, da oggi in avanti!".

A. ZORZI, La Repubblica del Leone, pp. 108-109.

I medievali erano idoli indiscussi.
 
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(riguardo l'omosessualità, la prostituzione e la lascivia della Venezia tardo-rinascimentale)
Se non risulta autentica la notizia che attribuisce l'origine del nome del ponte delle tette a San Cassiano [...] all'invito rivolto dai Dieci alle prostitute, che vi si affacciassero con i seni e le gambe scoperti per invogliare i passanti e distoglierli dagli amori proibiti, risulta l'effettivo interessamento del patriarca Antonio Contarini, nel 1511, per le prostitute veneziane che si erano lagnate presso di lui perché, a causa del dilagare dell'omosessualità, non potevano più vivere, niun va da lhoro. Il patriarca, però, aveva già il suo daffare con i conventi femminili [...] ridotti... a pubblici postriboli. Nel 1526, è il patriarca Querini che si presenta, inatteso, al monastero di Santa Maria della Celestia, e la prima cosa che vede è una monacella senza velo, con i capelli pettinati alla moda, a treccioline. Sdegnato, le taglia quelle chiome troppo frivole, ma, quando vuol portarsi via altre due suore dalla condotta chiacchierata, c'è una vera sommossa [...]. Suore scappano di convento, altre (troppe) hanno rapporti intimissimi con molti giovani gentiluomini ai quali la vox populi dà il soprannome di moneghini (se ne parlava già nel Trecento). Lo Stato, in questo caso alleato della Chiesa, non la spunterà mai nei suoi sforzi per render morigerati i monasteri [...]
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 337.
 
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(riguardo Selim II, sultano ottomano)
D’aspetto è bruttissimo e di tutte le membra sproporzionato in modo tale che pare a giudizio universale più simile ad un mostro che ad un uomo, massimamente avendo tutta rovinata ed arrostita la faccia sì dal soverchio vino, come della gran quantità d’acquavite che usa di bere per digerire. È rozzissimo nelli discorsi, malpratico negli affari e molto alieno dalle fatiche, a talchè lascia tutto il peso di sì gran governo sopra le spalle del pascià primo visir (Mehmed Sokollu Pascià, ndll). È avaro, sordido, lussurioso, incontinente e infine precipitoso in ogni sua azione. Ma quello di che più si diletta è il bere e il mangiare, il che usa fare per Selim II dei giorni continui, poiché, per quanto vien detto, sta sua maestà talune volte due o tre giorni a tavola continuamente; e da ciò nasce che egli ama sommamente Michel giudeo, inventore di preziosi cibi e di bevande delicatissime, il quale viene così ad avere grande autorità.
ANDREA BADOER, Relazione (1573), in E. ALBERI, Le Relazioni degli Ambasciatori veneri al Senato durante il secolo XVI, Firenze 1839-1863, serie III, vol. I, pp. 347 s.
 
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(Riguardo la presa di Cipro veneziana, nel 1571, da parte dei turchi, di come trattarono i vinti e di come gli odierni musulmani lo fatto attualmente)

Il primo agosto 1571 [...] il plenipotenziario di Lala Mustafà presenta il documento della capitolazione [...] promettendo e giurando per Dio et sopra la testa del Gran Signore di mantenere quanto nei capitoli si conteneva [...]: passaggio salvo e sicuro dei superstiti [...]; imbarco garantito e indisturbato delle truppe italiane a tocco di tamburo, con le insegne spiegate, artiglieria, arme et bagaglio, moglie et figli, [...] nessuna molestia agli Italiani che desiderano rimanere a Famagosta [...].
Sono condizioni più che onorevoli, e Mustafà le approva esplicitamente [...]. Il 5 tutto è già sistemato; Marcantonio Bragadin manda a chiedere a Mustafà quando desideri ricevere le chiavi della città. [... Mustafà] risponde che è sua disposizione, che lo vedrà con piacere atto il gran valore et previdenza che aveva mostrato, e che sarebbe lietissimo di conoscere, in quell'occasione, li capitani che nella fortezza hanno mostrato tanta bravura.
[...] L'accoglienza è cordiale [...]. Ma quando il provveditore veneziano gli consegna le chiavi dicendo "Vi do queste chiavi non per mia viltà ma per necessità", muta improvvisamente registro. "Che hai fatto tu delli miei schiavi che havevi nella fortezza? So io che tu gli hai ammazzati" [...]. Il provveditore risponde che non è vero [...] ma è evidente che Mustafà cerca argomenti di litigio, incalza il provveditore di domande, gli chiede dove sono le munizioni, dove sono le vettovaglie, e quando Bragadin gli dice che non c'è più nulla, che di ogni cosa, nella piazzaforte, si era venuto al fine, imbestialisce. "Ah cane, perché dunque tenermi la città se non havevi con che mantenerla? perché non ti sei reso un meso prima et non farmi perdere tanti huomini?"
I visitatori sono afferrati, legati, il pascià dà di piglio al coltello e mozza un orecchio al Bragadin, gli fa mozzar l'altro da un soldato, ordina l'eccidio di tutti coloro che sono venuti con lui, afferra la testa mozza di Astorre Baglioni e la mostra alle truppe gridando: "Ecco la testa del gran campione di Famagosta" [...].
Intanto le truppe hanno rotto i cordoni, si sono avventate in città, ammazzano tutti gli Italiani che trovano, violentano le donne dei Ciprioti; la mattina dopo assaltano le navi in attesa di partire per Creta [...]. Davanti alla tenda di Lala Mustafà si ammucchiano le teste, se ne contano trecentocinquanta [...]. Lorenzo Tiepolo e il capitano greco Manoli Spilioti vengono trascinati a pugni e a calci per le vie prima di essere impiccati e squartati; le loro carni vengono date ai cani.
E Bragadin? Bragadin è ancora vivo [...]. Mustafà [...] gli propone di farsi musulmano in cambio della vita. Il Veneziano risponde rinfacciandogli il tradimento della parola data, gli getta in faccia ingiurie sanguinose [...]. E' sofferente, la testa gli si è tutta infettata per le orecchie tagliate; per divertire la truppa, viene fatto passare avanti e indietro di batteria in batteria, carico di grosse gerle di terra e di sassi, i soldati si divertono a farlo inciampare e cadere. Poi, strassinandolo più morto che vivo, lo attaccano a un'antenna in galea [...]. Dopo un'ora di supplizio (i Turchi gli gridano: "Guarda se vedi la tua armata, guarda il gran Cristo, et se tu vedi il soccorso di Famagosta...") viene calato giù e, nudo, legato a una colonna, viene scorticato alla presenza di Lala Mustafà [...]. La pelle, riempita di paglia e ricucita, viene rivestita delle sue vesti [...]. Quei poveri resti, issati a cavallo di un bue, vengono fatti passeggiare per tutta Famagosta per dare più terore al sbigotito popolo. La pelle, con le teste di Astorre Baglioni, del generare Martinengo e del castellano Andrea Bragadin, viene poi portata in giro e mostrata dovunque sul litorale asiatico, prima di finire a Costantinopoli, da dove, trafugata, giungerà a Venezia anni dopo.

A. ZORZI, La Repubblica del Leone, pp. 348-351.
 
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(riguardo i rapporti tra la Repubblica di Venezia ed il papato)

Assai più dure le parole del doge Donà al nunzio apostolico in visita di congedo: ... la vostra scomunica non la stimiamo per nulla, come cosa di poco valore.
Diramato a tutte le autorità ecclesiastiche dello Stato veneziano, il Protesto decreta che, stante l'invalidità dell'interdetto, la vita religiosa prosegua come se nulla fosse stato e gli uffici divini vengano celebrati regolarmente. [...] I Gesuiti, che hanno tentato di rimanere pure osservando le disposizioni del papa, sono espulsi; è necessario proteggerli [...] dall'ostilità del popolo, che li saluta col poco diplomatico augurio andè in malora! [...] Un parroco di Venezia che non vuole dire messa si trova una forca rizzata davanti a casa, con l'invito a scegliere tra la messa e la corda. Al vicario capitolare di Padova, che dice di voler seguire l'ispirazione dello Spirito Santo, il podestà veneziano risponde che lo Spirito Santo ha già ispirato i Dieci a impiccare chi disobbedirà al Protesto.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, pp. 377-378.

La protezione della Repubblica non bastò a salvare tutti gli altri da vendette non soltanto teologiche: [...] fra Fulgenzio Manfredi, che ebbe la dabbenaggine di presentarsi a Roma per discolparsi, finì sul rogo; e quanto a fra Paolo, egli, la sera del 5 ottobre 1607 [...] fu aggredito [...] e lasciato per morto con tre pugnalate nel collo e in faccia da una banda di sicari, mormorò ai soccorritori, con l'ironia e il sangue freddo che gli erano consueti, il famoso giuoco di parole: "Riconosco lo stile della Curia romana". Aveva ragione. La mano dei bravi era stata armata dal cardinale Borghese. [...]
Ciò che bruciava di più a papa Paolo V e ai curiali era la dimostrazione che l'arma dell'interdetto, tante volte usata in passato dai papi, era rimasta spuntata per sempre.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, pp. 380-381.

Edited by lagunaloire - 23/1/2015, 01:40
 
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(Riguardo la Guerra di Gradisca e gli slavi)
Una galera, comandata dal sopracòmito Cristoforo Venier, veniva sorpresa da un "commando" di Uscocchi e catturata. L'equipaggio fu massacrato sul posto, il Venier fu decapitato e i pirati, cavandogli il cuore dal petto, lo divorarono ancora palpitante, intridendo il pane nel suo sangue.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 382.

(Di come i veneziani trattassero i dogi)
Degli umori depressi faceva le spese il doge Donà, già contestato dal popolino, al momento dell'elezione, col pretesto della mancata largizione di monete durante il rituale giro della piazza e, ora, accolto [...] nel 1612, dal grido Viva il doge Grimani padre dei poveri. Un grido che l'accorò tanto da farlo rimanere a casa in occasione della festa del Redentore [...], provocando l'odioso commento: Verrà il giorno che vorrà andare in chiesa, e non potrà.A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 385.
 
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(riguardo i rapporti tra la Repubblica di Venezia ed il papato #2)

Ma la società veneziana [...] era essenzialmente una società laica, che non ammetteva commistioni tra potere ecclesiastico e potere statale.
L'incidente occorso al fratello del cardinale Carlo Rezzonico, patrizio veneto, eletto papa col nome di Clemente XIII nel 1758 con giubilo universale, è abbastanza indicativo. Sull'onda dell'entusiasmo, messer Ludovico Rezzonico era stato creato procuratore di San Marco e aveva predisposto ogni cosa per una memorabile cerimonia d'ingresso nell'altissima dignità, quando, improvvisamente, si dava ammalato e rinviava i festeggiamento. Cos'era successo? Che le incisioni diffuse in preparazione della cerimonia raffiguravano il neo procuratore con la tiara e le somme chiavi ricamate sulla stola [...] dell'abito procuratorio; e il Tribunale Supremo (e, con lui, l'opinione pubblica) aveva ritenuto che quella dimostrazione della potenza papale non fosse da tolerarsi in metropoli di gloriosa repubblica. Il fratello del papa dovette dunque adattarsi a portare una stola come tutti gli altri. Già all'inizio del secolo, il cardinale veneziano Ottoboni, nipote di Alessandro VIII, s'era visto intimare la perdita del patriziato e il bando perpetuo da Venezia per avere accettato, contro le leggi della Repubblica, la carica di protettore della corona di Francia.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 460.


Fa ridere perché quelli prima della Rivoluzione Francese facevano quel cazzo che volevano, contestavano la religione, rendevano nulli gli interdetti (!!) mentre noi nel 2015 ci chiediamo se sia giusto fare satira contro la religione (non mi riferisco ai musulmani, dacché sappiamo che sono minorati mentali, ma verso i cattolici che dicono lo stesso).
 
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(sulle burle degli inquisitori di Stato nella Venezia carnascialesca di fine Settecento)

Quanto a Cristofolo Cristofoli, il fante del tribunale, la sua apparizione bastava a sedare qualsiasi tumulto. Gli inquisitori di Stato, che apprezzavano, da buoni veneziani, lo humour, se ne servirono talvolta per qualche missione singolare: come quando il nobilòmo Grimani [...] pensò di vendere all'estero la grande statua romana di Marco Agrippa che stava nel cortile del suo palazzo [...]. Il Tribunale Supremo non vedeva di buon occhio il depauperamento del patrimonio artistico cittadino. E fu così che, un mattino, il nobilòmo venne svegliato dai domestici atterriti: c'era, in cortile, Cristofoli in persona. Stava davanti alla statua in atteggiamento reverente, e quando il nobilòmo gli chiese che cosa mai volesse, rispose: "Son vegnudo a dirghe bon viazo a sior Marco Agrippa prima ch'el parta, e anca a So Celenza Grimani". Il patrizio capì: se avesse venduto la statua, sarebbe stato mandato in bando. E la vendita non ebbe più luogo.
L'aneddotica di questo tipo, molto copiosa, rivela l'altra faccia del mondo veneziano del Settecento. Godereccio, è vero; prodigo, è verissimo; ma anche, e spesso, ancora semplice, modesto, patriarcale.
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 481.
 
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(di come i veneziani si prendevano gioco degli austriaci che li assediavano)

Il 25 luglio [1849] ha inizio un tentativo di bombardamento aereo che precorre i tempi: dalla nave da guerra Vulcano [...] si innalzano dei palloni aerostatici, ognuno dei quali sostiene una bomba. [...] "Parevano elevati a circa 1.500 metri," scrive un testimone oculare "e scoppiarono in aria, o caddero in acqua, o spinti da un forte vento di Sud-Est passarono sopra la città, e finirono collo scaricarsi sugli stessi assedianti, con grande divertimento dei Veneziani che... affollarono le vie e le piazze per godere lo strano spettacolo..." I Veneziani non avevano perduto il tradizionale buonumore, e quando vedevano un pallone viaggiare verso Mestre applaudivano gridando Bravo! bon appetito!
A. ZORZI, La Repubblica del Leone, p. 598.

Ahahah guardate come si fanno gioco degli austriaci in questo bollettino del 1916: http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esr....84349003,d.d2s
Le storielle della guerra
Il Kaiser non è andato ai funerali del suo dolce amico. Perchè?
Oli ! la fantasia dei giornali ha avuto buon campo da mietere per quest'assenza. Citiamone qualcuno di questi, si dice:
Il Kaiser è arrivato a Vienna ma dopo avere abbracciato stretto stretto sul capace seno il suo caro amico Carlo I, successo al suo vecchio zio detto l'uomo della corda, è stato colto da un terribile raffreddore che gli avrebbe fatto passare la voglia e la forza di assistere ai funerali cinematografici dell'amato sovrano. [cinematografici :rotfl:]
E uno. Un altro ci racconta che invece del raffreddore fu la fredda accoglienza fattagli dall'Imperatore Carlo quella che lo fece imbizzire — e noi sappiamo bene come presto monta in bestia il nervoso imperatore romano... della Germania — e tornare indietro facendo girare il treno immediatamente dall'altra parte. Pare che questa non calda accoglienza dipenda, dice la Morning Post, da una certa mancanza di cordialità di rapporti tra il grande Guglielmo ed il giovane Cario. E due.
Ancora uno. Notizie olandesi queste. L'Imperatore Guglielmo temeva di cadere vittima di un attentato durante i funerali. Bravo ! E ci manda avanti a tutti, come un vessillifero di una processione, il suo beneamato figlio e successore ? E se glielo ammazzavano? O che ce l'hanno soltanto col padre? Ed allora? E' forse Guglielmone responsabile della guerra quando tutti sappiamo — lo dicono i giornali tedeschi... gratuitamente — che egli ha sempre voluto la pace e che tutta la vita sua ha speso per mantenerla? E tre.
Non è nè paura, nè raffreddore, nè arrabbiatura. Il Kaiser non è andato ai funerali del suo degno, oh! tanto degno alleato... se non amico, perchè è un uomo pieno di modestia e la modestia è la virtù del Kaiser, la principale se non l'unica. Egli ha pensato nella sua mente candida e pura: se io mi metto appresso al carro funebre la gente, il mondo intero, non vedrà che me, non ammirerà che me, non parlerà che di me, ed allora invece di un funerale sembrerà la celebrazione di un trionfo...
Restiamo a casa.
E come fu e come non fu..., dice la canzonetta napoletana, quella di Ciccuzza... il di cui seguito lasciamolo nella penna !
Evviva la coerenza.

Guardate il tono e guardate quanto è CAUSTICO, ma io li amo! Notate anche quel giornale che impaginatura e formato moderno...
 
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ricordami di non dimenticare l'espressione "capace seno", ché è da riutilizzare
 
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