|
|
| Da mezzogiorno e mezzo si fecero presto le due del pomeriggio. I nostri genitori erano venuti a prenderci, ma non ci avevano trovato perché noi ce ne eravamo andati sul retro della scuola. A un certo punto qualcuno chiese «Che ore sono?» e qualcun altro rispose «Oh, ma so’ le due!». Io iniziai a farmela addosso dalla paura perché già immaginavo gli strilli di mia madre una volta tornato a casa. Rincasai infatti mesto mesto e mentre entravamo tutti insieme nel cortile del palazzo, in questo grande stabile d’epoca con nove scale, tutte la madri affacciate alle finestre di via Famagosta strillavano: «Disgraziati, ma dove siete stati!!??». La mia poi era la più arrabbiata di tutte. All’improvviso mi venne un lampo di genio e le gridai da sotto: «Ah ma’! So’ stato a San Pietro!». «Ma a fa’ che?» mi chiese lei minacciosa. «È morto er Papa!» E alle 14.30 di quel giorno, in tutta via Famagosta il Papa era morto. Allora le notizie non viaggiavano veloci come oggi, così per qualche ora me la cavai. Verso sera mio papà rientrò a casa e mentre salutava mia madre questa lo apostrofò: «Ah Mario, che se dice? Che se dice?». E lui: «Ma de che?». «Che er Papa è morto!». Be’, non c’è stato un attimo di dubbio negli occhi di mio padre: «Ah Gianfra’, ma che te sei inventato!». «Ah papà, avevo paura che mamma me menasse!» Eh sì, diciamo che non passavo inosservato. (Gianfranco Funari, Il potere in mutande)
|
| |