Visto il film del mese di Luglio,
L'IsolaHo cercato su internet dei frame del film, e mi ha stupito ritrovarmi a guardare un ambiente più bello e aperto di quanto non mi fosse sembrato nella visione (forse è solo merito del mare). Questo perché nello svolgersi delle scene invece mi era parso tutto claustrofobico e immobile (le capanne in legno dove abitano i monaci non si discostano tanto dall’isolotto di macerie che i nazisti hanno fatto saltare in aria… anzi, sono proprio lo stesso posto, no? Nonostante il trascorrere degli anni per padre Anatolij il tempo si è fermato lì, i sensi di colpa ce lo hanno inchiodato).
Ho sgamato l’epilogo della trama fin da quando, nei primi minuti, i gendarmi nazisti hanno costretto il protagonista a sparare al proprio superiore per aver salva la vita
(conta davvero per la coscienza di Anatolij che quel colpo sia andato o no a segno? Anatolij ha comunque premuto il grilletto).
Il momento in cui ho sentito di più la carica emotiva del film però è stata la guarigione da parte di A di un bambino storpio davanti alle cui gambe malferme la medicina si era oramai arresa (il bambino è stato operato, visitato… i dottori non riescono a spiegarsi perché non cammini). Una volta compiuto il miracolo (mi ha fatto sorridere lo sdoppiamento farsesco della personalità di Anatolij tra servo e santone), la madre del bambino insiste per lasciare subito l’isola (deve andare a lavorare) e allora Anatolij glielo strappa dalle braccia intimandole di trovare del tempo per contemplare e ringraziare quanto successo, le dice che se i due dovessero andar via prima di averlo fatto il bambino si riammalerà e prova a convincere la donna millantando un allagamento improvviso che aveva fatto chiudere la cooperativa dove avrebbe dovuto recarsi la mattina dopo.
Le effettive capacità di imporre le mani e guarire del monaco restano un punto interrogativo (sto leggendo un libro che spiega cosa succedeva in epoca sovietica a chi chiedeva di poter andare all’estero, e fossi stata in A non avrei consigliato alla gente di vendere tutto per partire alla ricerca di un congiunto che sarà ormai bello che schiattato invece che in spiaggia sulla costa francese come si è immaginato lui), però proprio la ritrosia nell’accettare acriticamente il suo giudizio ed i suoi dettami è il punto.
C’è un ammiraglio che va a farsi curare dal prete magico, e però quando Anatolij gli dice che la figlia è posseduta inclina la testa sospettoso e dice che gli sembra una di quelle pazzie da superstiziosi. Quando Anatolij inizia a sciorinare salmi alla domanda del suo superiore sul perché le sue camere stiano andando a fuoco, quello si tappa le orecchie e dice “Oh fa silenzio zitto zitto zitto”.
Questo genere di siparietti col suo capo sono divertenti (mia prefe la scena in cui gli altri monaci gli fanno un elenco scritto dei mille fastidi che Anatolij arreca loro – incluso che puzza, che fa tardi a messa, che si genuflette dalla parte sbagliata, che beve il tè zuccherato – e lui risponde yooo vi ricordo che non siamo al comitato sorveglianza cittadini), soprattutto quando tentano la convivenza forzata e con la scusa che la maggior parte dei peccati si annida all’interno degli stivali, Anatolij brucia il sacco a pelo che il suo capo si era portato dietro.
Ogni volta che la nostra Meredith Grey risolve un caso si trova a confessare il suo "peccato originale"; inevitabilmente ci si mette a pensare a cosa c'è dietro questo bisogno di confessione, di condivisione delle colpe, e ai modi con cui si cerca di espiarle.