Ho letto
La lunga marcia. A piedi verso la Cina di Bernard Ollivier:
Questo è un libro che volevo leggere da tempo perché l'avevo visto citato su un libro che parlava di "viaggi lenti". Mi è costato tanto però leggerlo, non solo perché sono andato a cercarmi informazioni e a guardare con Google Maps l'itinerario che ha seguito, ma anche perché alcuni capitoli del libro sono veramente lenti, prolissi, un po' faticosi da affrontare. Però posso dire che ne è valsa la pena. Il pregio del libro è che l'autore scrive tutto ciò che gli capita senza il solito filtro del camminatore-eroe o del camminatore-guru che ha capito tutto della vita, e senza nemmeno il filtro del camminatore-filantropo che ama l'umanità e che cammina in un mondo dove tutti si vogliono bene. Ollivier dice le cose come stanno: parla male dei curdi perché viene costantemente derubato, minacciato, trattato male e in due casi rischia di lasciarci la cotenna (a questo proposito ammiro molto il suo sangue freddo). Poi certo, ci sono anche episodi bellissimi, anzi sono la maggior parte, ma le difficoltà non sono censurate. Chi fa come lui? Pochissimi, credo. Ma parliamo del libro: è una trilogia di un viaggio assurdo che l'autore, giunto alla soglia della vecchiaia e sapendo di non aver più tempo, decide di fare, da Istambul sino in Cina, sull'antico tracciato della via della Seta. Impiegherà tre anni per farlo, camminando in estate. Questo primo libro avrebbe dovuto parlare del tratto Istambul-Teheran. Ma perché "avrebbe dovuto"? Perché l'autore deve desistere per problemi di salute. Arriva quasi alla frontiera con l'Iran, quindi cammina per quasi tutta la Turchia. Il viaggio è un po' un fiasco, ma questa cosa rende il libro a mio avviso bello. L'autore si affanna a cercare le tracce dell'antica via della seta e a visitare gli antichi caravanserragli, ma non trova quasi niente, solo macerie, perché i turchi, come dice lui, non hanno alcun amore per il passato, ma hanno amore per il cemento. Chiede informazioni alle persone, ma spesso esse non sanno manco di cosa sta parlando. Vuole visitare i villaggi, ma spesso deve percorrere lunghissimi tratti sulle strade nazionali, coi tir che gli passano a filo per spaventarlo, strombazzando il clacson. Poi, dopo Erzurum, inizia a diventare bersaglio di ladri, militari, psicopatici, e cammina sempre in costante allerta, con un carico di stress assurdo. Eppure va avanti. Non eroicamente. Va avanti per ostinazione, e per questa folle ostinazione che sfocia in una specie di autismo, non accetta passaggi e, quando è obbligato a prenderli, poi torna sul luogo dove si è fermato e riprende da lì a piedi. Perché? Perché si è fissato di fare la Via della Seta a piedi, chilometro dopo chilometro, anche se di fatto questa Via non esiste più.
Io il libro l'ho apprezzato veramente, ma non l'ho amato. Lo ritengo altresì un libro interessante, ma non "bello". Lo consiglierei solo a uno scoppiato amante dei cammini insensati come me, non ad altri. Però stimo moltissimo Ollivier, che ha il pregio rarissimo di non eroicizzare la sua impresa, di non porsi come uno che ha capito tutto della vita, di non edulcorare il viaggio come fanno tutti quanti (o quasi... assomiglia molto a Nicolas Bouvier, anche lui nella sua
Polvere del mondo era così), ma anzi a prendere il suo cammino per quello che è: una cosa come un'altra, senza peraltro molto senso. Lui se ne rende conto e si fa le giuste domande, cioè cosa lo spinge a camminare in un posto ostile e con una ridotta capacità di comunicare con le persone? Per ora non lo ha ancora capito, e non lo capisco neanche io, ma ho ancora due libri (e lui due anni) per comprenderlo. Vediamo come proseguirà.