Ieri ho visto il film
Il viaggio di Yao (
Yao, 2018) di Philippe Godeau.
Parla di un senegalese attore di successo, che vive in Francia ed è figlio di emigranti. Deve tornare in Senegal, la sua partia d'origine, che non ha mai visto dal vivo, e vuole andare con suo figlio, nato dall'unione con una francese rossa di capelli. La francese - una donna ombrosa e rancorosa - è una vile e si inventa scuse per non fare andare il figlio, quindi lui deve partire da solo. Arrivato in Senegal, ha alle sue dipendenze un manager bianco orrendo, una specie di nano inutile, mentre altri bianchi lo acclamano e vogliono farsi selfie con lui. C'è però un bambino, Yao, che parte da un villaggio col sogno di andare a conoscere questo attore, arriva a Dakar e lo incontra. L'attore (Mr. Tall) capisce che il bambino è povero e quindi lo fa stare nella sua stanza e il giorno dopo si offre di riaccompagnarlo in taxi al suo villaggio. Qua inizia il vero "viaggio": infatti Tall dovrà abituarsi ai ritmi africani e riscoprire la gioia della sua terra, che contrasta enormemente con la frenesia e la tristezza dell'Europa. Spesso le persone che incontra gli dicono "Parli come un bianco"/"Ragioni come un bianco" o "Sei nero fuori ma bianco dentro", deluse di vederlo così (mi chiedo che fine potrebbe fare un regista che fa un film esattamente contrario a questo). A un certo punto incontra anche una donna artista, interpretata dalla musicista maliana Fatoumata Diawara, e ne nasce subito un amore: è chiarissima la differenza di femminilità di questa africana allegra e geniale, intelligente e passionale, rispetto alla ex moglie europea triste e stupida, meschina e fredda. La donna però esce di scena poco dopo, in modo un po' assurdo, forse rapprensenta la personificazione dell'Africa sedotta e abbandonata dai bianchi? Non lo so.
In questo viaggio Tall inizia ad affezionarsi a questo bambino e decide prima di posticipare il suo rientro in Francia, poi a perdere l'aereo, fermandosi altri giorni in Senegal. Porta Yao a vere il mare e poi a casa, dove viene accolto con balli e tutti sono felici: Yao diventa il figlio che lui vorrebbe veramente, un figlio africano, non quel figlio mulatto triste che ha preso i connotati negativi dei "bianchi". Verso la fine c'è un bell'incontro con una sciamana che dice delle cose belle riguardo la patria e la terra dei padri; fortumante non è un film "di bianchi" se no sarebbe visto come un messaggio nazista.
Cose positive del film: è un bel film di viaggio/formazione, bellissima fotografia con begli scorci sulle terre steppose del Senegal, buona colonna sonora, bravissimo il bambino che interpreta Yao.
Cose negative del film: non è un film curatissimo, in certe parti è un po' ingenuo; non si capisce il ruolo della Diawara, sostanzialmente non porta niente ai fini della trama oltre al confronto impietoso con l'europea che non vale una sua unghia; il doppiaggio è poco curato nel caso dei personaggi secondari, che sembrano persone a caso che leggono la parte.
Come voto gli do 6,5. A me come film è piaciuto, non lo consiglio perché è un film politicissimo che sprezza gli occidentali, però se non ci si fa prendere troppo dalla cosa è un film anche carino. A me poi ha fatto ridere, anzi direi che mi ha fatto piacere, che per una volta non sia screditato soltanto il maschio bianco, ma anche la donna bianca, che è vista veramente come una carogna schifosissima che fa del male al figlio pur di fare un dispetto al marito. In più, tutte le varie accuse sulla colonizzazione e sull'Europa che traspaiono ogni due-tre minuti di pellicola, mi hanno fatto sorridere.
Questo il trailer:
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