Canti Popolari Comunisti ed Anarchici

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Famoso Jak
view post Posted on 19/3/2007, 18:50     +1   -1




La Caccia alle Streghe ( la violenza )

(parlato)
à cominciata di nuovo
la caccia alle streghe:
i padroni, il governo,
la stampa e la televisione;
in ogni scontento
si vede uno sporco cinese;
"uniamoci tutti
a difendere le istituzioni!

Ma oggi ho visto nel corteo
tante facce sorridenti,
le compagne, quindici anni,
gli operai con gli studenti:

"Il potere agli operai!
No alla sistema del padrone!
Sempre uniti vinceremo,
viva la rivoluzione!".

Quando poi le camionette
hanno fatto i caroselli
i compagni hanno impugnato
i bastoni dei cartelli

ed ho visto le autoblindo
rovesciate e poi bruciate,
tanti e tanti poliziotti
con le teste fracassate.

La violenza, la violenza,
la violenza, la rivolta;
chi ha esitato questa volta
lotterà con noi domani!

Uno, due, dieci,
vent'anni di democrazia;
le pietre non sono argomenti,
ci dice un borghese;
siamo d'accordo con voi,
miei cari signori,
ma gli argomenti
non hanno la forza di pietre.

"Il potere agli operai!
No alla sistema del padrone!
Sempre uniti vinceremo,
viva la rivoluzione!".

Quando poi le camionette
hanno fatto i caroselli
i compagni hanno impugnato
i bastoni dei cartelli

ed ho visto le autoblindo
rovesciate e poi bruciate,
tanti e tanti baschi neri
con le teste fracassate.

La violenza, la violenza,
la violenza, la rivolta;
chi ha esitato questa volta
lotterà con noi domani!
 
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Famoso Jak
view post Posted on 22/3/2007, 18:40     +1   -1




Stalingrado



Fame e macerie sotto i mortai
Come l'acciaio resiste la città
Strade di Stalingrado di sangue siete lastricate
Ride una donna di granito sopra mille barricate

Sulla sua strada gelata
La croce uncinata lo sa
d'ora in poi troverà
Stalingrado in ogni città

L'orchestra fa ballare gli ufficiali nei caffè
L'inverno mette il gelo nelle ossa
Ma dentro le prigioni l'aria brucia come se
Cantasse il coro dell'Armata Rossa

La radio al buio e sette operai
Sette bicchieri che brindano a Lenin
E Stalingrado arriva nella cantina e nel fienile
Vola un berretto, un uomo ride e prepara il suo fucile

Sulla sua strada gelata
La croce uncinata lo sa
d'ora in poi troverà
Stalingrado in ogni città

La Fabbrica


Cinque di Marzo del Quarantatrè
nel fango le armate del Duce e del re
gli alpini che muoiono traditi lungo il Don

Cento operai in ogni officina
aspettano il suono della sirena
rimbomba la fabbrica di macchine e motori
più forte il silenzio di mille lavoratori
e poi quando è l'ora depongono gli arnesi
comincia il primo sciopero nelle fabbriche torinesi

E corre qua e là un ragazzo a dar la voce
si ferma un'altra fabbrica, altre braccia vanno in croce
e squillano ostinati i telefoni in questura
un gerarca fa l'impavido ma comincia a aver paura

Grandi promesse, la patria e l'impero
sempre più donne vestite di nero
allarmi che suonano in macerie le città

Quindici Marzo il giornale è a Milano
rilancia l'appello il PCI clandestino
gli sbirri controllano fan finta di sapere
si accende la voglia delle camicie nere
ma poi quando è l'ora si spengono gli ardori
perché scendono in sciopero centomila lavoratori

Arriva una squadraccia armata di bastone
fan dietro fronte subito sotto i colpi del mattone
e come a Stalingrado i nazisti son crollati
alla Breda rossa in sciopero i fascisti son scappati

talvolta le due canzoni sono unite ..

Il 5 marzo 1943 la sirena della fabbrica, che suonava regolarmente ogni mattina alle dieci, rimase silenziosa: il segnale che doveva far partire il primo sciopero dopo diciotto anni di niente era stato disinnescato dalla direzione. Qualcuno aveva avvertito la Fiat. All'officina 19 di Mirafiori, Leo Lanfranco - manutentore specializzato, reduce dal confino e assunto nonostante il suo curriculum di comunista perché «sapeva dominare il ferro» - decise di muoversi lo stesso, lasciò la macchina, fece un gesto con le mani e tutta l'officina si fermò. Il piccolo corteo si mosse in direzione delle presse raccogliendo qua e là l'adesione di altri operai. Non era un blocco massiccio, ma era la prima volta. Da quel giorno le fabbriche di Torino cominciarono a fermarsi, con un crescendo che fece impazzire questura e partito fascista, fino al blocco totale del 12 marzo e all'estensione dello sciopero a Milano, all'Emilia, al Veneto. Un marzo di fuoco. Appena dopo Stalingrado, prima del 25 luglio, molto prima dell'8 settembre, sono gli scioperi del marzo `43 a segnare l'inizio della fine del ventennio fascista. Scioperi contro la guerra, contro la fame, contro il regime; quando la borghesia italiana è ancora muta, i partiti antifascisti solo l'ombra di quel che erano e ridotti alla dimensione di gruppetti clandestini, gli intellettuali combattuti tra fedeltà alla patria e disaffezione per l'uomo del destino; quando le fabbriche sono militarizzate e scioperare può costare il tribunale speciale, l'accusa di tradimento, la galera, e, poi, la deportazione, la prospettiva del lager. Il 5 marzo del `43 è la data del «risveglio operaio», il riannodarsi del filo rosso spezzato nel `22 e reciso - sembrava definitivamente - con la guerra di Spagna. Il vero inizio della Resistenza.

Partono da Torino - «città porca» per Mussolini - e si estendono a tutto il nord: continueranno fino alla fine della guerra, passando per la strage badogliana delle Reggiane del 28 luglio `43, le grandi agitazioni dell'autunno successivo e della primavera `44 che costano migliaia di operai deportati nei lager nazisti, fino all'insurrezione del 25 aprile `45, alle fabbriche occupate e autogestite. E, tra un evento e l'altro, la migrazione dalle officine alle montagne, la scelta di combattere in armi, spesso individuale, a volte collettiva con centinaia di lavoratori che - quasi in corteo - abbandonano la fabbrica per aggregarsi alle formazioni partigiane, come i ferrovieri della Val Susa, come i cantieristi di Monfalcone. E' la guerra di classe dentro la guerra di Liberazione: tutto ha origine da quel gesto di Leo Lanfranco, da quelle braccia che si incrociano e si allargano, come a dire «basta, stop, finito».

Finito il silenzio: il marzo `43 nasce dall'estraneità operaia al regime, dalla mancata fascistizzazione dei lavoratori dell'industria. Distrutte, con stragi e confino, le avanguardie comuniste e socialiste del biennio rosso, dissolta la Cgil a palazzo Vidoni e conquistato il suo segretario generale, D'Aragona, il regime rende mute le fabbriche, le occupa ma non le fa proprie. E dove la concentrazione operaia è più densa, come a Torino, la distanza dal fascismo rimane: lo segnalano puntualmente i rapporti dell'Ovra e dei federali, lo rimarca l'inaugurazione di Mirafiori del maggio `39 con il silenzio operaio di fronte al discorso di Mussolini (che si infuria), lo rende chiaro la guerra. Nel ventennio la fabbrica è gestita dai padroni e dai sindacati fascisti, non è più il luogo della comunità operaia. Non bastano i dopolavoro a creare una socialità di regime, i lavoratori preferiscono i circoli di barriera e le osterie: lì si ritrovano e lì scorre il fiume sotterraneo della memoria, lì si rafforza la lontananza dal «baraccone di Cerutti» (come veniva chiamata la banda di Mussolini). Non c'è opposizione, c'è diffidenza e distanza. Quando scoppia la guerra, quando a 24 ore «dall'ora solenne che bussa» sul cielo di piazza Venezia cominciano a cadere le prime bombe su Torino e sulle altre città del nord, quella distanza diventa malessere che si gonfia con le tessere annonarie, gli sfollamenti, la borsa nera, la militarizzazione delle officine e l'orario di lavoro che aumenta fino a 12 ore al giorno.

Già negli ultimi mesi del `42 dalle fabbriche torinesi e milanesi giungono sul tavolo dei gerarchi romani rapporti allarmanti che parlano di prime fermate spontanee, di rischi di saboraggio, di «diffusa disaffezione al lavoro» e al regime. I giovani che arrivano in fabbrica dalle «scuole operaie» incontrano vecchi lavoratori con la memoria del biennio rosso. Portano con sé una spontanea curiosità per tutto ciò che è diverso dal grigiore del fascismo e dal cupo clima di guerra, una predisposizione alla ribellione che si affianca fisicamente ai saperi (professionali e politici) della generazione precedente: «allievo» e «maestro» costruiscono un sodalizio che, contaminandosi, trasforma l'estraneità al fascismo in avversione. In quei mesi Umberto Massola, dirigente comunista, rientra in Italia con lo scopo di ricostituire il «centro interno» cento volte smantellato: nella città della Fiat riannoda la rete del partito (lo racconta splendidamente in una testimonianza filmata raccolta da Paolo Gobetti e conservata presso l'Archivio nazionale cinematografico della Resistenza di Torino) e punta sulle fabbriche, su Mirafiori. L'intuizione è quella di preparare una sorta di «piattaforma sindacale», rivendicazioni che possano raccogliere il consenso delle masse operaie già arrabbiate e forse «pronte». Non più «cospirazione militare», ma preparazione clandestina di una lotta di massa. Nei primi mesi del `43 piccole fermate spontanee alle Ferriere, alla Diatto, alla Fiat Spa e in altre fabbriche fanno capire che è giunto il tempo di uno sciopero vero e proprio, contro la guerra, la miseria delle condizioni di vita e di lavoro, il regime: «pane, pace e libertà». La rete clandestina è sempre più fitta, ma non potrebbe stringersi senza quella predisposizione covata a lungo nelle osterie di barriera e cresciuta spontaneamente sotto i bombardamenti e nelle lunghe ore di lavoro militarizzato.

La «piattaforma» chiede il riconoscimento delle 192 ore a tutti, l'estensione cioè a ogni lavoratore di quella gratifica economica (192 ore di salario) data agli operai sfollati dalle città in conseguenza dei bombardamenti. E la fine della militarizzazione delle officine. Ciascuna fabbrica ci aggiunge qualcosa, soprattutto su orario e condizioni di lavoro. Con queste richieste parte lo sciopero del 5 marzo, quello della sirena che non suona e che ne smorza l'effetto. Ma nei giorni successivi si muovono altre fabbriche (Grandi Motori, Fiat Aeronautica, Savigliano, Lancia, Riv) e Mirafiori si ferma completamente il 12 - insieme a tutte le altre industrei torinesi - stavolta non alle 10 del mattino, ma dopo la pausa della mensa: gli operai non rientrano nelle officine e il salone che «sfama» i 15.000 addetti della più grande fabbrica italiana diventa il teatro di decine di comizi e capannelli. Di lì il movimento crescerà e si allargherà a tutto il nord, soprattutto a Milano, alla Falk, alla Breda, alla Marelli.

«Non sapevo che stavo facendo uno sciopero, per me era una protesta, la parola sciopero mi era sconosciuta» - ricorderà molto più tardi un allora giovane operaio appena uscito dalla «scuola allievi Fiat» - «ho scoperto in quei giorni cosa volesse dire quella cosa di cui parlavano i vecchi, quel movimento solidale che fa di tanti corpi un'entità sola. E, poi, il senso di libertà: si diceva che in fabbrica c'erano dei comunisti, dei socialisti, ma nessuno sapeva chi fossero... erano qualcosa di mitologico. In quei giorni sono emersi dalle tenebre, si sono scoperti e in quella lotta si riconoscevano l'un l'altro». Parole che spiegano bene il duplice senso degli scioperi del marzo `43: l'emergere dal buio del conflitto sociale, il suo estendersi nel riconoscersi in una condizione comune da combattere e cambiare, la sua valenza politica. Si può dire che anche la Cgil rinasce in quell'occasione, che in quel movimento si fondano le basi per un sindacato generale, l'opposto della natura corporativa dei sindacati fasciti, che i comunisti della clandestinità tentarono vanamente di infiltrare durante gli anni `30 per ricollegarsi alle masse operaie. Un ricongiungimento che avviene solo nel pieno del conflitto, su una base rivendicativa materiale che assume caratteristiche generali. La cosa che non sfugge al regime. La repressione è immediata: non riesce nei giorni degli scioperi - che si concludono con conquiste salariali e la mediazione di Valletta corso a Roma per convincere il regime a dare agli operai almeno una parte di ciò che chiedono - nonostante le spedizioni punitive davanti alle fabbriche; ma nelle settimane seguenti oltre duemila lavoratori vengono fermati, molti di loro arrestati e spediti davanti al tribunale speciale. Ma il movimento non si ferma, rallenta la sua corsa per riprenderla qualche mese dopo e dal marzo '43 le fabbriche italiane diventano un problema in più per Mussolini, che investe di vane sfuriate i suoi gerarchi. E vana sarà anche la «socializzazione» proposta da Salò per riconquistare il consenso operaio con un'operazione tipicamente corporativa (la comunità produttiva della fabbrica tra azienda, sindacati fascisti e lavoratori contro la borghesia parassitaria) che annuncia persino presunti vincoli alla proprietà: l'ostilità operaia al fascismo diventerà sempre più radicale e attiva. Da quel momento, per decenni, le fabbriche saranno altra cosa dal potere economico e politico.

In quegli scioperi per la pace, il pane e la libertà risiede ancor oggi una parte importante della costituzione materiale della repubblica: non furono un episodio torinese o milanese, né solo una tappa della storia del Partito comunista italiano; furono l'esplicitarsi della natura democratica del conflitto operaio, dell'ostilità del lavoro alle logiche di guerra e dell'irriducibilità sociale del conflitto di classe.

Gabriele Polo
(Il Manifesto, 5 marzo 2003)
 
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Famoso Jak
view post Posted on 3/4/2007, 18:01     +1   -1




Guantanamera


Yo soy un hombre sincero
De donde crece la palma,
Y antes de morirme quiero
Echar mis versos del alma.

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera

Mi verso es de un verde claro
Y de un carmin encendido
Mi verso es un ciervo herido
Que busca en el monte amparo.

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera

Cultivo una rosa blanca,
En Julio como en Enero,
Para el amigo sincero
Que me da su mano franca.

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera

Y para el cruel que me arranca
El corazón con que vivo,
Cardo ni urtiga cultivo:
Cultivo la rosa blanca.

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera

Yo sé de un pesar profundo
Entre las penas sin nombres:
La esclavidad de los hombres
Es la gran pena del mundo!

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera

Con los pobres de la tierra
Quiero yo mi suerte echar.
Con los pobres de la tierra
Quiero yo mi suerte echar,
El arroyo de la sierra
Me complace más que el mar.

Guantanamera, guajira guantanamera
Guantanamera, guajira guantanamera.
 
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ioTodi
view post Posted on 3/4/2007, 19:40     +1   -1




le conosci tutte per cuore???
 
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Famoso Jak
view post Posted on 3/4/2007, 19:43     +1   -1




certo che le conosco tutte ; sono sia in mp3 che nel computer , ma mica ascolto solo queste .. ho una richiesta da farti : potresti postare il testo dell' Internazionale in francese ?
 
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ioTodi
view post Posted on 4/4/2007, 20:43     +1   -1




L'internationale -in francese-

Debout ! les damnés de la terre
Debout ! les forçats de la faim
La raison tonne en son cratère :
C’est l’éruption de la fin
Du passé faisons table rase
Foule esclave, debout ! debout !
Le monde va changer de base :
Nous ne sommes rien, soyons tout !

Refrain
C’est la lutte finale
Groupons nous et demain
L’Internationale
Sera le genre humain.
Il n’est pas de sauveurs suprêmes :
Ni dieu, ni césar, ni tribun,
Producteurs, sauvons-nous nous-mêmes !
Décrétons le salut commun !
Pour que le voleur rende gorge,
Pour tirer l’esprit du cachot
Soufflons nous-mêmes notre forge,
Battons le fer quand il est chaud !

L’Etat opprime et la loi triche ;
L’Impôt saigne le malheureux ;
Nul devoir ne s’impose au riche ;
Le droit du pauvre est un mot creux.
C’est assez languir en tutelle,
L’égalité veut d’autres lois ;
« Pas de droits sans devoirs, dit-elle,
« Egaux, pas de devoirs sans droits ! »

Hideux dans leur apothéose,
Les rois de la mine et du rail
Ont-ils jamais fait autre chose
Que dévaliser le travail ?
Dans les coffres-forts de la bande
Ce qu’il a créé s’est fondu.
En décrétant qu’on le lui rende
Le peuple ne veut que son dû.

Les Rois nous saoulaient de fumées.
Paix entre nous, guerre aux tyrans !
Appliquons la grève aux armées,
Crosse en l’air et rompons les rangs !
S’ils s’obstinent, ces cannibales,
A faire de nous des héros,
Ils sauront bientôt que nos balles
Sont pour nos propres généraux.

Ouvriers, Paysans, nous sommes
Le grand parti des travailleurs ;
La terre n’appartient qu’aux hommes,
Le riche ira loger ailleurs.
Combien de nos chairs se repaissent !
Mais si les corbeaux, les vautours,
Un de ces matins disparaissent,
Le soleil brillera toujours !
 
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Famoso Jak
view post Posted on 4/4/2007, 23:12     +1   -1




Grazie mille !! .. magari c' e l' avresti da passarmi in msn ? .. è molto bella in francese , quando ero a Lotta comunista ascoltavamo solo l' internazionale , in italiano , russo, francese, inglese e così via ..
 
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Famoso Jak
view post Posted on 5/4/2007, 18:20     +1   -1




allora questo è un canto-antisbirri lo posto qui :

Carabiniere maledetto,
te la spegniamo noi la fiamma sul berretto;
La disoccupazione ha dato un bel mestiere,
mestiere di merda Carabiniere
mestiere da belino Celerino
mestiere da mignotta poliziotta.
 
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Famoso Jak
view post Posted on 6/4/2007, 12:20     +1   -1




Comandante Che Guevara ( Hasta Siempre )


Aprendimos a quererte
desde la historica altura
donde el sol de tu bravura
le puso cerco a la muerte.

Aqui se queda la clara,
la entrañable transparencia
de tu querida presencia,
comandante Che Guevara.

Tu mano gloriosa y fuerte
sobre la historia dispara,
cuando todo Santa Clara
se despierta para verte.

Aqui ...

Vienes quemando la brisa
con soles de primavera
para plantar la bandera
con la luz de tu sonrisa.

Aqui ...

Tu amor revolucionario
te conduce a nueva empresa,
donde esperan la firmeza
de tu brazo libertario.

Aqui ...

Seguiremos adelante
como junto a ti seguimos
y con Fidel te decimos:
"Hasta siempre, Comandante!"

Aqui ...
 
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Famoso Jak
view post Posted on 16/4/2007, 19:16     +1   -1




Stato e Padrone fate Attenzione


La classe operaia, compagni, è all'attacco,
Stato e padroni non la possono fermare,
niente operai curvi più a lavorare
ma tutti uniti siamo pronti a lottare.
No al lavoro salariato,
unità di tutti gli operai

Il comunismo è il nostro programma,
con il Partito conquistiamo il potere.

Stato e padroni, fate attenzione,
nasce il Partito dell'insurrezione;

Potere operaio e rivoluzione,
bandiere rosse e comunismo sarà.

Nessuno o tutti, o tutto o niente,
e solo insieme che dobbiamo lottare,
i fucili o le catene:
questa è la scelta che ci resta da fare.
Compagni, avanti per il Partito,
contro lo Stato lotta armata sarà;

con la conquista di tutto il potere
la dittatura operaia sarà.

Stato e padroni...

Potere operaio e rivoluzione...

I proletari son pronti alla lotta,
pane e lavoro non vogliono più,
non c'è da perdere che le catene
e c'è un intero mondo da guadagnare.
Via dalle linee, prendiamo il fucile,
forza compagni, alla guerra civile!

Agnelli, Pirelli, Restivo, Colombo,
non più parole, ma piogge di piombo!

Stato e padroni...

Potere operaio e rivoluzione...

Stato e padroni, fate attenzione...

viva il Partito e rivoluzione,
bandiere rosse e comunismo sarà!
 
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Famoso Jak
view post Posted on 20/4/2007, 06:34     +1   -1




L' Ora del Fucile



Tutto il mondo sta esplodendo dall’Angola alla Palestina,
l’America Latina sta combattendo,
la lotta armata vince in Indocina;
in tutto il mondo i popoli acquistano coscienza
e nelle piazze scendono con la giusta violenza.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire
che è suonata l’ora del fucile? (1)

L’America dei Nixon, degli Agnew e McNamara dalle Pantere Nere una lezione impara: (2)
la civiltà del napalm ai popoli non piace, finché ci son padroni non ci sarà mai pace; (3)
la pace dei padroni fa comodo ai padroni, la coesistenza è truffa per farci stare buoni. (4)

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire
che è suonata l’ora del fucile?

In Spagna ed in Polonia gli operai insegnan che la lotta non si è fermata mai contro i padroni uniti,
contro il capitalismo, anche se mascherato da un falso socialismo.
Gli operai polacchi che hanno scioperato gridavano in corteo "Polizia Gestapo"
Gridavano: "Gomulka, per te finisce male". (5)
Marciavano cantando l’Internazionale.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire
che è suonata l’ora del fucile? Le masse, anche in Europa, non stanno più a guardare,
la lotta esplode ovunque e non si può fermare:
ovunque barricate: da Burgos a Stettino, ed anche qui fra noi, (6)
da Avola a Torino, da Orgosolo a Marghera, da Battipaglia a Reggio, (7)
la lotta dura avanza, i padroni avran la peggio.

E quindi: cosa vuoi di più, compagno, per capire
che è suonata l’ora del fucile?



Note

La canzone riprende la base musicale del celebre successo di Barry McGuire, scritta da P.F. Sloan, Eve Of Destruction, inserendovi sopra un testo politico, non del tutto dissimile come, ma ispirato alle idee dei gruppi di estrema sinistra italiani dell'epoca. E' quindi un caso particolare di una cover con traduzione adulterata, abitudine così peculiare negli anni '60. Il testo italiano era stato scritto dal cantautore Pino Masi assieme a P. Nissim, è riportata da altre fonti anche una partecipazione di Giovanna Marini, che appare però improbabile alla luce della collocazione della nota musicologa e cantautrice, all'epoca vicina alla sinistra ufficiale.
Pino Masi apparteneva invece al gruppo extra-parlamentare Lotta Continua, per il quale aveva anche scritto l'inno ufficiale "Lotta di lunga durata", ispirato agli insegnamenti del presidente cinese Mao Zedong.

(1)


In altre versioni "che è giunta ormai"

(2)


Richard Nixon era il presidente degli USA tra il 1968 e il 1973, quindi negli anni in cui veniva composta e cantata la canzone, Spiro T. Agnew era il vice presidente (e noto esponente della destra politica USA) e Robert McNamara segretario di stato, quindi protagonista di primo piano nella guerra allora in corso in Vietnam. Le Pantere Nere (Black Panthers) erano il movimento extra-istituzionale costituito da alcuni leader neri americani (Eldrige Cleaver, Stokely Carmichael ed altri) per combattere, anche con la violenza, la segregazione razziale.

(3)


Il napalm è una sostanza chimica (derivato dell'acido naftenico o naftoico e dall'acido palmitico) altamente infiammabile usata per costruire bombe sin dalla II guerra mondiale. Questo tipo di armi è stato estesamente usato in Vietnam dall'esercito USA ufficialmente come defoliante, quindi per distruggere il fogliame della giungla del centro Vietnam e Cambogia, dove correva la cosiddetta "pista Ho-Chi-Minh" (dal nome del presidente del Vietnam del Nord) che consentiva di portare armi e supporto dal Vietnam del Nord (comunista e appartenente al blocco sovietico) ai guerriglieri Viet-Cong che nel Vietnam del Sud combattevano per rovesciare il governo filo-americano ed arrivare ad una unificazione del paese (cosa che poi avvenne nel 1975 con la sconfitta USA). Evidentemente senza la copertura della giungla i convogli sarebbero stati più facilmente individuabili e neutralizzabili. Purtroppo le bombe non vennero usate solo contro la vegetazione ma anche su centri abitati e sulle popolazioni, con effetti devastanti e documentati da celebri foto e filmati, che hanno contribuito non poco a cementare la opposizione interna alla guerra in USA, e quindi il disimpegno progressivo dal conflitto.
In precedenza erano citati altri focolai di guerra, l'Angola, dove il movimento indipendentista MPLA (su posizioni filo-cinesi) combatteva contro l'esercito del Portogallo, ultimo stato d'Europa ad avere ancora delle colonie in stile ottocentesco (e in questa guerra senza fine l'esercito portoghese avrebbe sviluppato la sua opposizione al regime totalitario di Salazar, che avrebbe rovesciato nel 1975, riconsegnando alla democrazia il paese). Ben poco da dire sulla Palestina, focolaio purtroppo tuttora aperto, nonostante tutti i cambiamenti dello scenario internazionale.

(4)


Il riferimento è alla "coesistenza pacifica", il sostanziale armistizio dopo gli anni della "guerra fredda" tra i due blocchi USA e URSS (dal 1948 al 1962) raggiunto tra il presidente USA J.F. Kennedy e URSS N. Krusciov con il contributo non marginale dell'allora pontefice Giovanni XXIII e poi confermato dai loro successori. Con la coesistenza pacifica riprese un dialogo tra i due blocchi, iniziarono accordi per la riduzione progressiva delle armi atomiche e la competizione tra i blocchi si spostò dal piano militare al piano civile, e in particolare alla gara per la conquista dello spazio. Nella canzone vengono riprese posizioni della sinistra estrema dell'epoca, vicine alla Cina comunista di Mao Zedong, che vedevano nella coesistenza pacifica un "tappo" messo dai falsi socialisti dell'URSS (e dai loro partiti comunisti alleati europei, in primis italiano e francese) alle lotte rivoluzionare in tutto il mondo.

(5)


Wladyslaw Gomulka era negli anni '60 il presidente della Polonia, paese allora satellite dell'URSS e strettamente controllato in quanto il più instabile tra tutti, sia per la atavica inimicizia tra polacchi e russi, sia per la forte presenza della chiesa cattolica (con un ruolo di primo piano dell'allora arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtila, il futuro Papa Giovanni Paolo II), antagonista storica della chiesa ortodossa russa e punto di aggregazione per gli oppositori al regime, sia per la inesistente presenza di un movimento socialista e comunista locale (i cui pochi membri erano stati sterminati prima dai nazisti e poi da Stalin), sia infine per la memoria del patto Molotov - Ribbentrop che, immediatamente prima della II guerra mondiale, aveva portato ad un accordo tattico tra URSS e Germania nazista che comportò una spartizione ed un attacco concentrico alla Polonia, con annessi stermini di massa (le fosse di Katyn, dove l'esercito URSS uccise un grande numero di ufficiali polacchi catturati).
Nel 1956 c'era già stata una sollevazione popolare in Polonia, di segno anti-comunista, e Gomulka, già oppositore di Stalin e da lui imprigionato e condannato a morte, era stato portato al governo dal nuovo corso anti-stalinista in URSS (Krusciov), introducendo alcune timide riforme. Crisi economica e condizioni di vita avevano però portato alla fine degli anni '60 a nuove proteste di massa nelle città industriali del paese (Danzica e Stettino). Alla luce dei fatti posteriori appare però del tutto fantasiosa la interpretazione "rivoluzionaria" di queste proteste contro il governo Gomulka. Evidentemente i dimostranti volevano invece un abbandono del comunismo ed un passaggio al campo capitalista, come poi avvenne alla fine degli anni '80 (movimento di Solidarnosc, presidente Lech Walesa).

(6)


Burgos, importante città industriale e capoluogo economico dei Paesi Baschi, principale area di opposizione al regime franchista (di ispirazione fascista) allora al governo in Spagna, anche per motivazioni nazionaliste e indipendentiste.

(7)


Un elenco di città italiane protagoniste di lotte ed eventi anche di segno opposto, accomunate/i solo da qualche forma di violenza. Ad Avola in Sicilia, durante una manifestazione sindacale di protesta di contadini braccianti il 2 dicembre 1968 si erano verificati degli scontri con la polizia che aveva fatto uso di armi da fuoco, provocando la morte di due contadini manifestanti. Per Orgosolo in Sardegna, terra di pastorizia e di estesa illegalità, si immaginava un possibile legame tra banditismo atavico anti-statalista e lotta rivoluzionaria. A Porto Marghera, polo industriale nelle vicinanze di Venezia, divenuto poi tristemente celebre per i tassi di inquinamento record, era presente una forte componente operaia ispirata alla estrema sinistra. A Reggio Calabria erano iniziate pesanti proteste per la nomina di Catanzaro a capoluogo della costituenda regione Calabria (la costituzione effettiva delle regioni oltre a quelle a statuto speciale, prevista dalla Costituzione del 1948, era stata lungamente rinviata ed era stata finalmente messa in attuazione a partire dal 1970, quando ci sarebbero state le prime elezioni regionali). La motivazione era evidentemente legata alla aspettativa di posti di lavoro nel settore pubblico ed era in questo caso guidata dalla estrema destra (MSI e ambienti ad esso collegati) anche con utilizzo di metodi violenti. Infine Torino è citata come principale città industriale dell'Italia degli anni '60, quale sede della Fiat, prima industria italiana.
 
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Famoso Jak
view post Posted on 20/4/2007, 15:00     +1   -1




Nove maggio


E nei giorni della lotta
rosso era il mio colore
ma nell'ora del ricordo
oggi porto il tricolore.

Tricolore è la piazza
tricolori i partigiani
«Siamo tutti italiani»
«Viva viva la nuova unità».

E che festa e che canti
e che grida e che botti
e c'è Longo e c'è Parri
e c'è anche Andreotti.

E c'è il mio principale
quello che mi ha licenziato
quello sporco liberale
anche lui tricolorato.

Mi son tolto il fazzoletto
quello bianco verde e rosso
ed al collo mi son messo
quello che è solo rosso.

E mi hanno dato del cinese
mi hanno detto "disfattista"
ho risposto secco secco
«Ero e sono comunista».

Ieri ho fatto la guerra
contro il fascio e l'invasore
oggi lotto contro il padrone
per la stessa libertà.

E se vi va bene il liberale
con Andreotti e il tricolore
io vi dico «Siete fottuti
vi siete fatti incastrar».

E mi hanno dato del cinese
mi hanno detto "disfattista"
ho risposto secco secco
«Ero e sono comunista».
 
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Famoso Jak
view post Posted on 20/4/2007, 19:07     +1   -1




La Rossa Providdenza ( le basi americane)


La cosa più penosa
in giorni come questi
è di trovar tra voi
le facce di sempre
E invece sta cambiando
la storia di ciascuno
perchè dai grandi fatti
matura una lezione"

Buttiamo a mare le basi americane
cessiamo di fare da spalla agli assassini
giriamo una pagina lunga di vent'anni
andiamo a guadagnare la nostra libertà

In una ragnatela
di fatti quotidiani
abbiam dimenticato
di essere compagni

Nel mondo c'è una lotta
che non si è mai placata
rompiamo le abitudini
torniamo ad esser uomini

Buttiamo a mare...

Non serve domandare
se poi ce la faremo
lasciamo alle parole
il tempo di aspettare

O forse qui si aspetta
la rossa provvidenza
per cui gli altri decidono
e noi portiam pazienza"

Buttiamo a mare...
 
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Famoso Jak
view post Posted on 23/4/2007, 13:29     +1   -1





Se otto ore son troppo poche

Conosciuta anche con il titolo: Se otto ore vi sembran poche



Se otto ore vi sembran poche,
provate voi a lavorare
e troverete la differenza
di lavorar e di comandar.

E noi faremo come la Russia
noi squilleremo il campanel,
falce e martel,
e squilleremo il campanello
falce e martello trionferà.

E noi faremo come la Russia
chi non lavora non mangerà;
e quei vigliacchi di quei signori
andranno loro a lavorar.


Versione alternativa


Se otto ore vi sembran poche,
provate voi a lavorare
e sentirete la differenza
di lavorar e di comandar.

O Mario Scelba se non la smetti
di arrestare i lavoratori
noi ti faremo come al duce
in Piazza Loreto ti ammazzerem.

Adagio adagio un po' per volta
l'Italia nostra si farà
e quei vigliacchi di quei signori
col loro sangue dovran pagar.

E noi faremo come la Russia
suoneremo il campanello
innalzeremo falce e martello
e grideremo «Viva Stalin».

E noi faremo come la Cina,
e impugneremo il parabello
e innalzeremo falce e martello
e griderem «Viva Mao Tse Tung».
 
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Famoso Jak
view post Posted on 23/4/2007, 16:35     +1   -1




Il 18 aprile
(Lanfranco Bellotti)


VI RICORDATE QUEL 18 APRILE
DI AVER VOTATO DEMOCRISTIANI
SENZA PENSARE ALL'INDOMANI
A ROVINARE LA GIOVENTÙ
SENZA PENSARE ALL'INDOMANI
A ROVINARE LA GIOVENTÙ

O CARE MADRI DELL'ITALIA
E CHE BEN PRESTO VI PENTIRETE
E I VOSTRI FIGLI ANCOR VEDRETE
ABBANDONARE LOR CASOLAR
E I VOSTRI FIGLI ANCOR VEDRETE
ABBANDONARE LOR CASOLAR

CHE COSA FA QUEL MARIO SCELBA
CON LA SUA CELERE QUESTURA
MA I COMUNISTI NON HAN PAURA
DIFENDERANNO LA LIBERTÀ
MA I COMUNISTI NON HAN PAURA
DIFENDERANNO LA LIBERTÀ

E OPERAI E COMPAGNI TUTTI
CHE SEMPRE UNITI NOI SAREMO
E TUTTI IN CORO NOI CANTEREMO
BANDIERA ROSSA LA TRIONFERÀ


Edited by Famoso Jak - 23/4/2007, 18:13
 
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69 replies since 13/12/2006, 16:30   21639 views
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