Torniamo alla Chronica di Salimbene de Adam, di cui lessi certi passi memorabili:
http://www.lastampa.it/2011/08/19/cultura/...bKM/pagina.htmlSono cavoli amari fratel Salimbene Nella testa di un uomo del Medioevo: il frate Scappato dalla casa del padre, a Parma, per arruolarsi nei francescani, senza peli sulla lingua, un po’ «leghista»Come pensava un uomo del Medioevo? Il francescano Salimbene de Adam, nato a Parma nel 1221 e vissuto almeno fino al 1288, ci ha lasciato una Cronica di quasi mille pagine, in cui accumula informazioni storiche e ricordi di famiglia, riflessioni politiche e teologiche, e giudizi da levare la pelle su personaggi grandi e piccoli che ha conosciuto di persona. Proviamo a entrare nella sua testa, e vediamo che cosa ci troviamo.
[...] Salimbene le conosce a memoria [le Sacre Scritture], perché come molti uomini del suo tempo ha sviluppato le facoltà mnemoniche a un grado che per noi è impensabile. A un certo punto della sua cronaca cita otto versi di una canzonetta satirica, e si scusa di non ricordare né l’inizio né la fine: è molto tempo che non l’ho più letta, dice, e quando l’ho letta non me ne importava molto, e così non l’ho memorizzata bene. È un’uscita rivelatrice: vuol dire che quando si leggeva, di solito si imparava a memoria. I libri erano pochi, procurarseli era difficile, e non era neppure facile prendere appunti, perché la carta e la pergamena costavano care. L’unica cosa che non costava era la memoria: e perciò la si riempiva di testi, e chi lavorava con la parola li teneva lì in bell’ordine, sempre pronti per l’uso.
[...] Ma Salimbene ha anche la certezza di appartenere all’organizzazione più buona e giusta che esista al mondo, l’ordine francescano. Entrarvi gli è costato molto: per quel saio e quei sandali, Salimbene a sedici anni ha rinnegato la famiglia. I suoi erano ricchi e potenti cavalieri, gente abituata a parlar forte nei consigli cittadini, ad avere belle armi e bei cavalli, a mangiare e bere gagliardamente, a rischiare la pelle in guerra e vendicarsi sempre dei propri nemici (Salimbene osserva che a Parma una vendetta dopo trent’anni non è considerata fuori tempo; «e anch’io vengo da lì», aggiunge sornione). Agli occhi di quei nobili, i frati restavano dei poveracci che andavano a mendicare di casa in casa e perdevano le notti sui libri: sant’uomini, certo, ma che suo figlio dovesse finire così era più di quel che poteva sopportare messer Guido de Adam. Quando il ragazzo scappò di casa per arruolarsi nell’ordine, piombò al convento con una folla di parenti, e davanti ai frati terrorizzati cercò in tutti i modi di riportarlo a casa: figlio mio, lo esortò, non credere a questi pisciaintonaca che ti hanno menato per il naso! [
è vero, dice proprio così e altre pagliacciate]
Membro di una grande organizzazione votata a predicare l’ortodossia e combattere gli eretici, potremmo aspettarci che Salimbene giudicasse gli uomini in base a pregiudizi e stereotipi; invece troviamo in lui un’attenzione all’individuo che lo porta a giudicare le persone con estrema libertà. [cosa tipica del Medioevo, altro che chiusi di mente!] Ognuno, infatti, si presenterà da solo davanti al Signore, e di ognuno bisogna pesare i meriti e le colpe, quale che sia la sua posizione nel mondo. Non per niente l’intercalare preferito di Salimbene, quando riferisce qualche accusa davvero enorme a carico di un politico o d’un prelato, è Ipse viderit!, «Se la vedrà lui!». Siccome ognuno è personalmente responsabile, non c’è posto per ipocrisie, perbenismi, political correctness: nel mondo di Salimbene, come in quello di Dante, si dice pane al pane, vino al vino, e merda alla merda, e non si rispetta nessuno che non se lo sia meritato, nemmeno se è il Papa. [Amo troppo i medievali!]
Salimbene è certamente colpevole di giudizi ingiustificati: come il suo disprezzo di aristocratico padano per gli italiani del Mezzogiorno, «homines caccarelli et merdaçòli» [
], di cui gli dà fastidio perfino l’accento («Quando vogliono dire Cosa vuoi? dicono Ke boli?»). Ma quando si tratta di gente che ha conosciuto di persona, e in vita sua ne ha incontrata davvero tanta, i suoi criteri di giudizio sono molto più umani. Gli piacciono le persone aperte, cordiali, generose, detesta i meschini e gli avari, e quelli che si danno arie. Ce ne sono anche tra i frati, come quel Giovanni da Vicenza a cui il successo delle sue prediche aveva dato alla testa, tanto che esigeva d’essere trattato come un santo; e una volta che s’era fatto tagliare la barba, si offese perché i frati non raccoglievano i peli per conservarli come reliquie. O come il generale dell’ordine, frate Elia, che riceveva gli ospiti, anche se erano nobili cavalieri, seduto a tavola su morbidi cuscini, col berretto in testa e il fuoco acceso, e nemmeno si alzava per salutarli: «che era una grandissima villania».
Termine significativo, questo, così come il suo contrario, «cortesia»: tutt’e due ricorrono continuamente sotto il calamo di fra Salimbene, e sono l’indizio più rivelatore della sua origine sociale, nonostante cinquant’anni passati a mangiar cavoli in refettorio. Giacché alla fine il figlio di messer Guido de Adam aveva conservato un tratto dell’educazione ricevuta nel palazzo paterno: che gli uomini si giudicano in base al fatto che siano bene educati, cortesi e cavallereschi, oppure maleducati e villani. E san Francesco, che non era figlio d’un cavaliere come Salimbene, ma aveva tanto desiderato esserlo, sarebbe stato d’accordo con lui.
(Scritto da Alessandro Barbero, Fanciullo Orsù ringrazia per la sega)
Della Chronica ho letto anche dei passi assurdi dove si intratteneva per 30 pagine a parlare del fatto che nella Francia meridionale si bevesse il vino e in quella settentrionale la birra, poi parlava delle varietà dei vini e del fatto che in Provenza i mandorli fiorissero prima che in Liguria, e tutte queste minuziosaggini pazzesche meravigliose, tra un'invettiva e l'altra a vari personaggi, grandi e piccoli, conosciuti e sconosciuti, del suo tempo. Perché noi non siamo più medievali?