| eh, certo che comunque! Ecchecchezzo, don Simone!, dall'amaro San Simone alla rava e la fava, un rapido pomeriggio di follia al cesso e, driiin, "ci sono quelli dell'olio d'oliva!", dall'altro cesso. Canzone dei Righeira, ma che bella righeira, una righeira prima dormire ed una dopo colazione, la colazione dei non classificati, avanti e indietro per i prati di collina, inciampi nei quadri dei pittori paesaggisti, a gamba tesa nell'arte obsoleta nella dimensione selvaggia di queste quisquillie, quattro pomodori in faccia, rincorso dai gatti del vicino, nel frattempo è già sera ma il crepuscolo è sempre; e ci sono "quelli dell'olio d'oliva". Minestre riscaldate, trombe che rimbombano, bombe all'aria, chirurghi estetici che hanno perso l'orientamento, nonne con le basette lungo una virtuale tuscolana, in motoretta, velocissime che strisciano le curve; si è fatta una certa ora, non so quale non ho l'orologio, mi è caduto dal cavalcavia, ho avuto cuore di recuperarlo. Non avevo l'olio cuore e, no, non me lo farò portare da "quelli dell'olio d'oliva". La notte è calda ma drammatica, c'è una strana frenesia che giace nell'atmosfera. Un esquimese mi porge una rosa. Quante spine hanno dilaniato il nostro vivere. Una scatola di latta è appoggiata sulla mulattiera. La lancio nell'aria come una palla volante. Prende fuoco, come una bandiera. E' l'imperialismo, bellezze. Tre gemelle di circa ottant'anni si passano il bastone. Terrorizzata una si appiattisce contro il lastricato. Un'altra volge gli occhi vitrei all'indietro, il bianco della morte schiuma da quelle orbite putrefatte. La terza gemella lancia una carta in mezzo alla strada ed urla:"briscola!". E di nuovo, di nuovo loro: "quelli dell'olio d'oliva." Funestamente. Cammino lungo il ponte di corda. L'ho scordato. Son caduto. Le sue note non sono più melodiose. Il pubblico si lamenta, ridateci i nostri soldi, ridateceli immediatamente, bisbigliano con protervia. Poi passa il vento, si porta via la notte. Da qualche parte c'è l'aurora. Non posso vederla, la visuale è ostruita da "quelli dell'olio d'oliva". Quindi mangio i biscotti, quelli veri, mi incammino per le montagne con un fiasco (una sconfitta) in mano. Mi ha portato sfiga Simon Peter, e sono maledetto per sempre. I barbagianni torcono il muso da me. Ramingo salgo il crinale. Poi rallegrato dalla volubilità ridiscendo, sono nato di nuovo. Entro nel primo bagno che trovo per strada. Lì dentro ho una collutazione con un ospite di quel luogo, ma ne esco rinvigorito. Raccolgo una biscia per terra, è ancora infreddolita dai freddi abissali della notte eterna, inoltre puzza di letame e nel corso della giornata ne cresce un'aiuola rigogliosa. Così equipaggiato entro in un convento, anche qui c'è odore di bruciato, lo seguo col mio olfatto non del tutto compromesso e giungo presto alle fiamme, una consorella sta ricevendo un rogo riparatorio per applicare l'eutanasia ecclesiastica, per far finire le sofferenze inutili insomma, a fianco a me ci sono 3-4 studentelli rapiti da quello spettacolo che darà vita si fa per dire alla loro tesi di laurea. Ed anche lì, "quelli dell'olio d'oliva", lividi. Recupero per strada la mia scatola di biscotti, corro, corro senza una ragione apparente, incontro pellegrini senza mai guardarli in volto, ormai mi sembra una formalità superflua. Regalo loro le maschere che conservavo da tempo nello zaino, ad ogni modo, e le accettano di buon grado. Vedete, vedete che i vostri volti li avevo già visti, li serbavo per voi. E' già di nuovo sera. Ho lo stomaco in subbuglio, entro in un sobborgo, ormai dovrei essere chissà dove. Un gabbiano nel cielo sembra un'astronave imperiale alla luce della Luna. I miei passi sono più lunghi, ma più lenti. Saluto senza malizia una puttana tutta impettita. Mi piace pensare che domani andrà in pensione, tranne se è la Fornero. Lungo la strada vedo molte ruote di bicicletta, rischiarate dalla luna. Il paesaggio è sempre più rarefatto. L'alba porta con sè il terzo giorno. Da dietro la collina giunge il ronzio di un motore in avvicinamento.
|